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venerdì 3 febbraio 2012

Altro che Misery, è Superbasket che non deve morire!

Dovesse veramente sparire Superbasket, se ne andrebbe un pezzo importante della mia vita. Anzi, professionalmente parlando, IL pezzo più significativo. Compravo Superbasket, incazzandomi selvaggiamente, dai primi Anni Ottanta, dai pallini feroci, dai "finitimi", dallo striscione del Palaeur “Aldo Giordani Servo dei Padani”, dalle prime foto NBA a colori. Non riuscivo a capire perché il complotto paventato da Giordani fosse stato messo in piedi solo nella stagione 1982-83, quella dello scudetto di Roma, mentre fosse tutto regolare quando negli altri anni a vincere erano Varese, Milano, Cantù e Milano. Ammetto che compravo Superbasket, all’epoca, per mancanza di alternative ma crescendo l’appuntamento con l’edicola al martedì mattina è diventata una consuetudine automatica.

La svolta, nel rapporto tra me e SB, c’è stata nel 1994, quando sono diventato il Direttore Irresponsabile di Coast to Coast e ho iniziato a vedere il mio nome citato sul mio settimanale preferito nel numero in cui la redazione decideva quale fosse il migliore house organ. Nel febbraio del 2000 è arrivata, in un pomeriggio apparentemente uguale a tutti gli altri, la telefonata che mi ha cambiato la vita legando, incredibile ma vero, il mio nome a quello di Superbasket. “Giancarlo, ti trasferiresti a Bologna per lavorare nella mia redazione?”.
La voce era quella di Franco Montorro, che conoscevo perché da un anno mi aveva chiesto di scrivere un paio di rubriche demenziali per SB. Dopo un paio di tentennamenti (mica facile cambiare vita e lavoro ripartendo da zero, quando hai 33 anni, ma se ti chiama la rivista che compri da una vita…), ho accettato: il 16 agosto 2000 ho varcato la porta della redazione di Superbasket, accolto da Claudio Limardi, e subito sono stato preso un attacco di diarrea fulminante: bell’inizio di merda, è stata la prima riflessione, la stessa probabilmente dei miei nuovi colleghi quando si sono resi conto che fino al 14 agosto 2000 nella mia vita avevo fatto solo il consulente informatico, e neanche tanto bene. Di giornalismo in me non c’era traccia...

Mi aspettavo che i primi mesi da rookie, a contatto con una redazione dalle personalità forti e dagli equilibri definiti, sarebbero stati complessi ma in realtà è accaduto il contrario: con Franco, Claudio, Stefano Benzoni, Stefano Valenti, Roberto Gotta ed Enrico Schiavina (qualche mese dopo è arrivato anche Mirco Melloni) si è creata subito una bellissima sintonia, probabilmente perché io sono entrato in punta di piedi e loro mi hanno accolto come si accoglie un consulente informatico romano scappato dalla Capitale per lo scudetto appena vinto dalla Lazio.

La confidenza l’abbiamo presa in pochi giorni, il rispetto non è mai mancato, e nonostante non ricordi una sola pizza “di redazione” nei sette anni trascorsi a Superbasket ho sempre pensato che quella fosse una bella “squadra” più che un gruppo, distinzione neanche tanto sottile e tanto cara agli allenatori. Per il resto, cosa dire? Ricordo l’emozione, durata almeno sei mesi, nel leggere il mio nome nella gerenza di SB, la dolce consapevolezza di essere pagato per seguire da inviato la Scavolini a Istanbul, l’emozione di intervistare Scottie Pippen e Allan Houston, la chiusura notturna della domenica tanto fastidiosa quanto affascinante, le tante risate in redazione per un comunicato stampa impresentabile, per la brutalità di un collaboratore, per diverse situazioni irriferibili qui sopra.

Sono stati sette anni indimenticabili, per me, a contatto con professionisti veri, con gente che di basket si alimenta voracemente, 24h sette giorni su sette. Roberto Gotta e il suo ingovernabile genio a tutto campo, Stefano Benzoni e la sua anima candida e retro’ (Benzo ha appena abbandonato i vinili per i cd, guarda ai dvd con diffidenza e dei blu-ray preferisce non sapere nulla), Stefano Valenti e la sua straordinaria capacità di leggere nei fatti e nelle persone, Enrico Schiavina e la sua (sottovalutata) onniscenza su tutto ciò che non è basket di vertice, Claudio Limardi e la sua irreale capacità produttiva (ha una famiglia smisurata e meravigliosa, va a correre tutti i giorni e tutti i giorni riesce a scrivere diversi pezzi belli, precisi e documentati), l’”autismo” di Mirco Melloni che ti sa dire in tempo reale il plus/minus di John Starks al secondo anno di high school. In più Franco Montorro, il mio primo direttore, che non finirò mai di ringraziare per avermi voluto a tutti i costi a Superbasket quando il mondo gli chiedeva chi diavolo fosse questo di Roma che scriveva cose stupide.
Potrei raccontare decine di aneddoti divertenti, citando storie e personaggi più o meno celebri, ma mi saprebbe di sacrilegio. La redazione di SB, per come la ricordo, la porto tutta nel mio cuore ed è così esattamente dal febbraio del 2007, da quando cioè ho avuto la brillante idea di andare via.

Erano iniziati i primi problemi economici, ovviamente niente a che vedere con quanto sta accadendo ora, ma ho iniziato a rimpiangere l’atmosfera di quella redazione dal giorno in cui l’ho lasciata, ben prima che la mia esperienza a Dieci si rivelasse un… fallimento. Il grido di dolore lanciato da Claudio in questi giorni ha già scosso l’ambiente della pallacanestro italiana e vari personaggi ben più importanti di me hanno già espresso il sentire comune: non si può fare a meno di Superbasket. Non si può. Giusto. Sacrosanto, anzi. Nessuno può saperlo meglio di me, che Superbasket l’ho vissuto da lettore adolescente ed incazzato, da abbonato pluriennale, da praticante, da giornalista professionista e poi nuovamente da collaboratore, fino a qualche mese fa.

Se muore Superbasket, insomma, sparisce un pezzo unico della nostra pallacanestro e per quel che mi riguarda si chiude la parentesi più bella della mia vita.

Forza ragazzi, allora: continuate anche per me!