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lunedì 29 ottobre 2012

Il Bellaria, il terrore, mia sorella Letizia...

Non ricordo mai con piacere il mese di ottobre del 2006, ovvero i giorni del mio ricovero nel reparto NeuroChirurgia dell’Ospedale Bellaria di Bologna, le nove ore di intervento, il risveglio in terapia intensiva, i 20 giorni di degenza, l'angoscia di non riuscire a farmi dimettere e infine l’angiografia che ha confermato la mia guarigione e alla quale mi presentai con la maglia della Roma sotto al pigiama. L’unica volta che la Roma mi ha dato una gioia negli ultimi sei anni, mi viene da dire.

C’è però un flash di quei giorni tutt’altro che semplici che ricordo sempre con estremo piacere, perché mi dà ogni volta l’idea della qualità della famiglia nella quale ho avuto la fortuna di crescere. La sera prima dell’intervento, informato con forse anche troppi dettagli della delicatezza dell’operazione alla quale mi sarei dovuto sottoporre, chiesi un confronto al Primario del Reparto, accompagnato da mia madre e da mia sorella Letizia.

Ricordo minuti drammatici, minuti di attesa nei quali dovevo decidere cosa fare perché nel frattempo la tentazione di tornarmene a casa si era fatta sempre più diffusa: “Professore – obiettai timidamente – mi perdoni se le faccio perdere tempo ma visto che al momento non corro un pericolo di vita non so se sia il caso di affrontare un’operazione così rischiosa”. “Giancarlo – mi rispose il luminare cercando vanamente di tranquillizzarmi – non si deve preoccupare perché per noi questo intervento è abbastanza consolidato. Certo, si tratta di un’operazione difficile nella misura in cui dovremo farci largo nel suo cervello”.

“Non troverete grande resistenza…”, sussurrò Letizia riuscendo miracolosamente a farmi ridere e al tempo stesso convincendomi che operarmi sarebbe stata l’unica via percorribile. Poi resistenza ne trovarono, pure troppa, ma questo è un altro discorso…