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martedì 14 gennaio 2014

Il rapporto causa-effetto esiste, dunque...

Ecco, ho sempre conservato un regale distacco dalle cose reali, un senso di superiorità rispetto ai fatti che senza alcuno slancio poetico accadono solo perché generate da una serie di cause. Già ai tempi delle scuole elementari e delle medie ricordo la netta percezione di “privilegiato”, uno a cui le cose venivano naturalmente, a cui la vita avrebbe sorriso spontaneamente, senza fatica. Bastava lasciarsi andare, seguire il flusso degli eventi, farsi una corsa a perdifiato e ascoltare “Love Games” dei Level 42, non irrigidirsi mai in schemi e le cose sarebbero filate per il verso giusto, seguendo un piano inclinato miracolosamente favorevole.

Se studiavo poco mi salvavo con la dialettica e con la classica faccia da paraculo mezzo intellettualoide che più tardi si è rivelata essere la rovina di questo Paese. Poi magari facevo passare un mese senza andare a scuola e quasi mi sorprendevo che dopo settimane di “seghe” (con rispetto parlando) qualcuno chiamasse casa per sapere che razza di fine avessi fatto. La speranza che in un modo o nell’altro le cose si mettessero a posto da sole mi ha confortato anche nei miei approcci col mondo del lavoro, quando un paio di maestri di vita capitolini che ancora porto nel cuore mi avevano trasmesso una strategia che nel 70% dei casi si rivelava vincente: c’è un problema, anche grave, da risolvere? Non ti affannare, prendi tempo, guadagna un fallo laterale, vai sulla bandierina e vedrai che alla ripresa del gioco tutto si sarà risolto. Così accadeva che fossi chiamato ad apportare modifiche complicate a una procedura e due mattine dopo veniva invece deciso di sviluppare (da altri) un sistema informatico ex novo, piuttosto che correggere il mio. Insomma, ero arrivato a pensare che lo stellone che (per motivi avvolti nel mistero) avrebbe dovuto illuminare la mia esistenza pretendeva da parte mia solo istinto e fiducia incondizionata, mentre pragmatismo e dedizione avrebbero compromesso la magia. Non a caso, anzi a caso, mi ero ritrovato assunto come giornalista a Superbasket dopo sette anni di Coast to Coast, senza mandare un curriculum, senza diventare pubblicista, senza fare un colloquio.

Il fatto che a 15 anni avessi già vinto lo scudetto con la Roma (quello precedente era datato 1942…) e la Coppa dei Campioni col Bancoroma, oltre a un Mondiale di calcio, imponevano giocoforza su di me le stimmate del predestinato sculato. Le cose non accadevano quando me le aspettavo, anzi dovevo allontanarmi affinché si compissero: in estate, ad esempio, attendevo l’arrivo dei miei genitori a Massa Martana appostato in un curvone a 500 metri da casa. Io ero in vacanza, loro lavoravano a Roma e ci raggiungevano nel weekend: oltre al piacere di rivederli, l’attesa era resa snervante dalla squadra di Subbuteo che normalmente mamma Luisa soleva portare in dote. Ricordo pomeriggi assolatissimi che manco Salvatores, in attesa di vedere il muso della Taunus bianca spuntare sul rettilineo: niente, niente, niente. Era impossibile che in quel preciso istante in cui guardavo la strada, una macchina bianca con dentro le persone che a quanto si diceva in giro mi avevano messo al mondo, apparisse. Impossibile. Passavano 128, Renault 5, 850, tutti i modelli e tutti i colori ma non la Taunus. Così dopo ore di attesa angosciante riprendevo la bicicletta e tornavo verso casa: qualche secondo dopo, puntuale il clacson della defunta Taunus mi avvisava dell’imminente sorpasso e del conseguente arrivo del Penarol (maglia giallonera lucida, opera d’arte). Le cose che volevo accadevano quindi con regolarità, anche in amore: cercarle avrebbe complicato i piani, la mia dea era bendata ma non voleva rotture di cazzo. 

Poi però, come dice l’immenso Bart di Santa Maradona, succede che invecchiando si tende a smarrire la mira e le situazioni si complicano, quello che prima succedeva naturalmente inizia a necessitare di sacrifici, di progetti, di espedienti e allora spesso si finisce per andare fuori tema, fuori pista, fuori giri. Così ti accorgi che c’è, sì che c’è, un cazzo di rapporto causa-effetto che regola davvero la vita di tutti i giorni, pure se tu l’hai sempre negato e quindi se non metti benzina dopo 50 chilometri di riserva la tua vettura tende a fermarsi anche se sei in autostrada, così succede che se mangi gli asparagi poi la tua pipì puzza per giorni e allora è vero che esiste una relazione tra ciò di cui ci alimentiamo e il nostro organismo. Così, soprattutto, ti accorgi a 46 anni che la tua (fottutissima) presunta immarcabilità sentimentale è andata a farsi benedire e che le tue storie, anche le più emozionanti, si sono spesso arrugginite perché tu hai commesso degli errori, perché ti sei illuso che i tuoi sbagli non avessero dirette conseguenze sullo stato di salute delle relazioni stesse.

Così non è stato e ora la poco simpatica impressione è che le cose belle, quelle che da piccolo chiamavo Arditt Ardott senza che nessuno ne capisse il motivo, non tornino più: né se aspetto la Taunus sotto il sole di Massa Martana, né se capitano senza che io faccia nulla, come quell’indimenticabile Mondiale ’82 di Paolo Rossi e Bruno Conti. E mo’?


3 commenti:

  1. E mo' so cazzi. De quelli grossi.

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  2. Viene anche me di dire 'mo so cazzi' però ti conosco e sono sicuro che una soluzione la trovi :)
    Comunque se non l'hai letto, cosa che dubito, fatti tante risate con 'we are family' di F. Bartolomei e 'riparti'!
    Fabio quello che non sa fare i conti dal benzinaio ;) un abbraccio

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