Ecco, ho sempre conservato un regale distacco dalle cose reali, un
senso di superiorità rispetto ai fatti che senza alcuno slancio poetico
accadono solo perché generate da una serie di cause. Già ai tempi delle scuole elementari
e delle medie ricordo la netta percezione di “privilegiato”, uno a cui le cose
venivano naturalmente, a cui la vita avrebbe sorriso spontaneamente, senza
fatica. Bastava lasciarsi andare, seguire il flusso degli eventi, farsi una
corsa a perdifiato e ascoltare “Love Games” dei Level 42, non irrigidirsi mai in
schemi e le cose sarebbero filate per il verso giusto, seguendo un piano
inclinato miracolosamente favorevole.
Se studiavo poco mi salvavo con la dialettica e con la
classica faccia da paraculo mezzo intellettualoide che più tardi si è rivelata
essere la rovina di questo Paese. Poi magari facevo passare un mese senza
andare a scuola e quasi mi sorprendevo che dopo settimane di “seghe” (con rispetto
parlando) qualcuno chiamasse casa per sapere che razza di fine avessi fatto. La
speranza che in un modo o nell’altro le cose si mettessero a posto da sole mi
ha confortato anche nei miei approcci col mondo del lavoro, quando un paio di
maestri di vita capitolini che ancora porto nel cuore mi avevano trasmesso una
strategia che nel 70% dei casi si rivelava vincente: c’è un problema, anche
grave, da risolvere? Non ti affannare, prendi tempo, guadagna un fallo
laterale, vai sulla bandierina e vedrai che alla ripresa del gioco tutto si
sarà risolto. Così accadeva che fossi chiamato ad apportare modifiche
complicate a una procedura e due mattine dopo veniva invece deciso di
sviluppare (da altri) un sistema informatico ex novo, piuttosto che correggere
il mio. Insomma, ero arrivato a pensare che lo stellone che (per motivi avvolti
nel mistero) avrebbe dovuto illuminare la mia esistenza pretendeva da parte mia
solo istinto e fiducia incondizionata, mentre pragmatismo e dedizione avrebbero
compromesso la magia. Non a caso, anzi a caso, mi ero ritrovato assunto come giornalista a Superbasket dopo sette anni di Coast to Coast, senza mandare un curriculum, senza diventare pubblicista, senza fare un colloquio.
Il fatto che a 15 anni avessi già vinto lo scudetto con la
Roma (quello precedente era datato 1942…) e la Coppa dei Campioni col
Bancoroma, oltre a un Mondiale di calcio, imponevano giocoforza su di me le
stimmate del predestinato sculato. Le cose non accadevano quando me le
aspettavo, anzi dovevo allontanarmi affinché si compissero: in estate, ad
esempio, attendevo l’arrivo dei miei genitori a Massa Martana appostato in un
curvone a 500 metri da casa. Io ero in vacanza, loro lavoravano a Roma e ci
raggiungevano nel weekend: oltre al piacere di rivederli, l’attesa era resa
snervante dalla squadra di Subbuteo che normalmente mamma Luisa soleva portare
in dote. Ricordo pomeriggi assolatissimi che manco Salvatores, in attesa di
vedere il muso della Taunus bianca spuntare sul rettilineo: niente, niente,
niente. Era impossibile che in quel preciso istante in cui guardavo la strada,
una macchina bianca con dentro le persone che a quanto si diceva in giro mi
avevano messo al mondo, apparisse. Impossibile. Passavano 128, Renault 5, 850,
tutti i modelli e tutti i colori ma non la Taunus. Così dopo ore di attesa
angosciante riprendevo la bicicletta e tornavo verso casa: qualche secondo
dopo, puntuale il clacson della defunta Taunus mi avvisava dell’imminente
sorpasso e del conseguente arrivo del Penarol (maglia giallonera lucida, opera
d’arte). Le cose che volevo accadevano quindi con regolarità, anche in amore:
cercarle avrebbe complicato i piani, la mia dea era bendata ma non voleva
rotture di cazzo.
Poi però, come dice l’immenso Bart di Santa Maradona, succede
che invecchiando si tende a smarrire la mira e le situazioni si complicano,
quello che prima succedeva naturalmente inizia a necessitare di sacrifici, di
progetti, di espedienti e allora spesso si finisce per andare fuori tema, fuori
pista, fuori giri. Così ti accorgi che c’è, sì che c’è, un cazzo di rapporto
causa-effetto che regola davvero la vita di tutti i giorni, pure se tu l’hai
sempre negato e quindi se non metti benzina dopo 50 chilometri di riserva la
tua vettura tende a fermarsi anche se sei in autostrada, così succede che se
mangi gli asparagi poi la tua pipì puzza per giorni e allora è vero che esiste
una relazione tra ciò di cui ci alimentiamo e il nostro organismo. Così,
soprattutto, ti accorgi a 46 anni che la tua (fottutissima) presunta
immarcabilità sentimentale è andata a farsi benedire e che le tue storie, anche
le più emozionanti, si sono spesso arrugginite perché tu hai commesso degli
errori, perché ti sei illuso che i tuoi sbagli non avessero dirette conseguenze
sullo stato di salute delle relazioni stesse.
Così non è stato e ora la poco simpatica impressione è che
le cose belle, quelle che da piccolo chiamavo Arditt Ardott senza che nessuno
ne capisse il motivo, non tornino più: né se aspetto la Taunus sotto il sole di
Massa Martana, né se capitano senza che io faccia nulla, come quell’indimenticabile
Mondiale ’82 di Paolo Rossi e Bruno Conti. E mo’?
E mo' so cazzi. De quelli grossi.
RispondiEliminaE mo'... non lo so neanche io.
RispondiEliminaViene anche me di dire 'mo so cazzi' però ti conosco e sono sicuro che una soluzione la trovi :)
RispondiEliminaComunque se non l'hai letto, cosa che dubito, fatti tante risate con 'we are family' di F. Bartolomei e 'riparti'!
Fabio quello che non sa fare i conti dal benzinaio ;) un abbraccio