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lunedì 25 agosto 2014

Gli accannamenti ai tempi di Facebook

Carnefice non sono, vegano neanche, ma insomma pure l’abito della vittima mi sta stretto.
Ecco perché non indulgerò sul fatto che diverse volte mi sia capitato di essere lasciato da una donna.

E’ successo la prima volta nel 1996, a 29 anni, e nel preciso istante in cui Angela mi ha sussurrato “Please, scansate” la mia imbattibilità sentimentale è stata interrotta per dare il via a un sinistro mash-up tra “Giochi senza Frontiere”, “Closer” e “Shining”.

La tipologia degli addii è stata poco interessante, spargimento di sangue che io ricordi non c’è stato e neanche minacce di gesti insani o tradimenti sgasati in flagrante: quando finisce una storia che abbia un minimo di vissuto la sensazione di fallimento è comune ma raramente distribuita in parti uguali.

Ci si lascia oggi come trenta anni fa, il dolore non ha conosciuto conversioni in euro e pure in HD e con 4 Mb di upload è ingestibile: c’è però un aspetto ora di cui tenere conto quando una storia si interrompe poco consensualmente, e riguarda l’utilizzo dei social network. Ai tempi miei, una volta che avevi inutilmente provato a riconquistare la tua donna (mazzo di fiori, pedinamento, scenate), chiedevi agli amici comuni di eclissarsi per qualche tempo per rimanere da solo col tuo sconforto, il tuo alcool da consumare (non io) e le tue lettere da scrivere con la penna blu (io).

Come diceva Troisi, insomma, concentrarsi sulla perdita, sui 38 uomini che nelle ultime 48 ore avevano probabilmente abusato della tua ex era più semplice: non c’erano deviazioni o scorciatoie dal tunnel dell’abbrutimento, gli occhi restavano smarriti e bassi per qualche settimana/mese e poi piano piano si ricominciava a condurre un’esistenza decorosa con un’invisibile ammaccatura in più.

Ora, lo dico per esserci passato non più di due anni fa, cosa fare con Facebook e Whatsapp è diventata una rogna che quasi equipara la desolazione affettiva, che ti sfinisce, aggiunge dolore al dolore per un tag maldestro, una foto che era meglio non vedere, uno stato equivoco, un “online” che resta lì pure alle 3.47 am.

Nello specifico, io ho agito nel modo seguente, preso tutto insieme da una forma congiunta di schizofrenia, megalomania, sindrome di Stoccolma e gomito del tennista:
Day 1, the Day After: cancello l’amicizia di lei, ovvio.
Day 2: non succede nulla di eclatante e allora verifico che i miei contenuti siano visibili anche da chi non mi è amico e restringo la privacy. Se vuole vedere come sto (e certamente lo vorrà), dovrà chiedere. In aggiunta cancello tutte le foto che ci ritraggono insieme e inserisco “Single” vicino a “Situazione sentimentale”.
Day 3: continua a non succedere nulla, mi sa che disattivo l’account: se pensa che mi sono tolto la vita, magari per dieci minuti torna a pensare a me.
Day 4: come cazzo faccio senza Facebook? Riattivo l’account ma posto la foto profilo con la mia faccia dopo aver ascoltato il greatest hits dei Pooh e quella copertina col momento del crollo delle Twin Towers.
Day 5: non voglio che lei mi pensi disperato, opto per il fotomontaggio con Copacabana alle mie spalle e un’aforisma che parla di porte che si chiudono e di fantomatici portoni che dovranno spalancarsi in giornata.
Day 6: la visita quotidiana al profilo di lei fa più male del gol di Lulic, devo smetterla ma come?
Day 7: eccola, puntuale: la pulizia etnica di tutte le persone che hanno a che fare con lei. Un vostro like del cazzo o un fottuto “ahahahahahahahahah” non varranno una mia lacrima, sia chiaro.
Day 8: a metà delle persone cancellate invio un messaggio di spiegazioni e di scuse, aggiungendo che non ho nulla di personale con loro ma che essendo la ferita ancora aperta non me la sento di rischiare ricadute gratuite. Ricevo risposte comprensive ma in sottofondo lo sento, come no, il brusio… “Mamma mia, Gianca sta ancora sotto un treno”.
Day 9: lei posta una foto di una spiaggia, la giro a un paio di hacker e a due genii di Photoshop per capire se si intraveda sulla sabbia l’ombra di una sagoma maschile. Il mio dolore è ancora tutto lì, mi faccio un po’ tenerezza ma incredibilmente il 70% del mio malessere e del mio disordine mentale dipendono da Facebook.
Day 10-50: il dolore lancinante, quello che ti devasta dentro, lascia il posto al disboscamento di emozioni, slanci, voglia di rialzare gli occhi da terra per vedere se intorno a te qualcuno meriti attenzione. L’attività su Facebook si dirada, ti aspetti che gli amici più stretti cancellino l’amicizia con la tua ex ma visto non lo fanno di loro sponte ti abbassi a chiedere loro uno straccio di tacita solidarietà. Concessa.
Day 65: chiedi nuovamente l’amicizia alla tua ex, stai ancora di merda ma così ti sembra di ristabilire un minimo di normalità nella tua vita. Le scrivi che l’odio è sparito, la disperazione pure e sul dolore ci stiamo lavorando ma che tutto sommato ti fa piacere sapere come sta. Il messaggio di risposta è scritto da almeno 6-7 diplomatici della Santa Sede, tanto sono tangibili il distacco e la formalità. Manca solo “come da colloqui telefonici intercorsi” in fondo.
Day 66: hai fatto una cazzata, ricancelli l’amicizia di lei e ti disattivi un paio di giorni da Facebook per simulare un rapimento ma soprattutto per diluire la terrificante figura di merda.
Day 100- : il vuoto d’aria è alle spalle, la storia è finita, andate in pace. Ora una volta al mese si va a controllare sulla pagina di lei per verificare eventuali novità spaventose (matrimonio, maternità, cambio di sesso, ecc.) ma tutto sommato non c’è più niente che ti possa veramente fare male. Finalmente…

Ecco, se non altro Facebook ti aiuta a capire quando veramente una persona l’hai dimenticata. Detto questo, se vi dovessi cancellare l’amicizia è solo perché avete qualche amica stronza, state tranquilli.






1 commento:

  1. Forse convincersi che chi non ci ama non ci merita è la miglior cosa. Forse.

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