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lunedì 5 dicembre 2011

Da Nuovi Sad a Sonofiglia

Il post precedente l’avevo scritto da Novi Sad e dopo che Carlo mi ha fatto notare che la dizione esatta della cittadina serba, asciugata delle reminiscenze gergali capitoline, sarebbe stata Nuovi Sad, ho promesso che ci starò più attento. Così Sofia, dove mi trovo ora, sarà sempre Sonofiglia, in un italiano che non ammette repliche.

Prima però devo tornare per un attimo a Nuovi Sad, che ho salutato domenica scorsa dopo una cena offertami sulle rive del Danubio da Miodrag Veskovic, coach serbo-bosniaco che ha allenato anche in Italia e reso leggendario da un timeout a pochi secondi dal termine di una gara5 di finale scudetto, col punteggio in parità. Mentre l’altro allenatore spiegava nel dettaglio la tattica da eseguire nell’azione successiva, quella che sarebbe valsa una stagione, Miodrag disse alle sue: “Noi siamo quelle con maglia gialla, passate la palla a quelle con maglia gialla. Se facciamo canestro bene, altrimenti bravi loro e noi anno prossimo”.

Io ascoltai e riportai fedelmente su Superbasket, nacque una leggenda. Miodrag è un genio, la pallacanestro viene dopo: da anni utilizza metodi alternativi di allenamento, con canestri più alti, palle magiche o medicinali per migliorare la tecnica di passaggio, tappeti elastici per sviluppare la coordinazione in aria. Mi ha raccontato dall’esilio da Sarajevo dopo il primo bombardamento (lasciando casa e tutti gli averi per riparare a Belgrado), della guerra, delle stragi, della capacità del suo popolo di farsi male e poi di rialzarsi. Quando gli chiedo cosa li differenzia dalle altre popolazioni vissute per decenni sotto l’influenza del regime sovietico, Vesko mi illumina: “Noi serbi un po’ come voi italiani. Se a fine primo tempo siamo sotto 0-1 pensiamo: come minimo pareggiare…”. Forse non vuol dire un cazzo ma mi è piaciuta un sacco, in quel contesto. Tornato in albergo, a mezzanotte sono nella hall per un caffè con lo staff. Mi affaccio al bancone per chiedere il dolcificante (“saccarina”) e il ragazzetto mi fa, sottovoce: “Do you want girls for tonight?”. “No, saccarina”, rispondo turbato (cit. W. Allen in “La dea dell’amore”… Per il tuo compleanno ti regalo un pompino… Grazie, ma a me bastava una cravatta”) e poi chiedo agli altri se la richiesta è stata inoltrata in precedenza anche a loro. No (magari), la risposta.

Allora due sono le cose: o la mia è una faccia da depravato senza ritorno oppure il barman ha pensato… “Ma questo quando scopa se non paga?”. Sono giorni che ci penso e non so ancora quale opzione mi faccia stare meglio/peggio. Da mercoledì sono a Sonofiglia ma la situazione logistica è uguale e contraria a quella di Nuovi Sad.

Nel senso che qui fa schifo tutto. Vi aggiorno nel giro di un paio di giorni, sappiate solo che oggi abbiamo battuto la Lettonia, soffrendo, e che prima di noi si è giocato Turchia-Repubblica Ceca. In questi giorni a Sonofiglia sono in corso anche i Mondiali di atletica per sordomuti, tutte le nazionali alloggiano nel nostro albergo: il silenzio negli ascensori è meno imbarazzato del solito ma come ebbi modo di sperimentare quando giocammo un campionato di seconda divisione (unica rissa contro la Polisportiva Silenziosa Romana: in campo non volò una mosca, cazzotti diversi), i sordomuti tendono a essere maneschi, in ogni situazione. Oggi un gruppo di turchi (peraltro tutti sosia ingrigiti di Pietropaolo Virdis) sono venuti a… sostenere la loro squadra. Faceva impressione, e tenerezza, vedere la panchina turca che chiedeva un po’ d’incitamento perché anche se i 15 sostenitori ottomani (ma poca voce) ce la mettevano tutta, non si può dire che si giocasse in una bolgia. Faceva ancora più impressione pensare che in quel momento i sordumuti stessero tifando contro le ceche. E l’unico vero handicappato lì dentro ero io, che non riuscivo a collegarmi alla rete col wireless… A presto tutti gli altri aggiornamenti dalla patria del Pippero. Chi cambia blog è della Lazio!

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