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lunedì 5 dicembre 2011

Dieci: emozioni, domande, nessuna risposta

Quello che mi è successo negli ultimi mesi è tutto scritto qui, io sono uno dei due "strappati ad altre testate" purtroppo. E' un rientro nel blog un po' traumatico, scusatemi, ma è giunta l'ora di spiegare tante cose, a bocce ferme e moglie ubriaca. Ah, no, quella era la botte piena.

Questo articolo è comparso su Dagospia, leggete e schifatevene tutti. A breve le mie considerazioni.

LA TRAGICOMICA VICENDA DEL “QUINTO QUOTIDIANO SPORTIVO ITALIANO”: STIPENDI E FORNITORI NON PAGATI, TELEFONI STACCATI, EDITORI IN GUERRA TRA LORO, DIRETTORI IN SERIE, GIORNALISTI LICENZIATI PERCHÉ HANNO SCIOPERATO…

La storiaccia di 'Dieci' finirà ufficialmente lunedì 3 settembre nello studio napoletano del commercialista presidente del collegio sindacale di 'Editoriale Dieci': "Daremo indicazione all'assemblea che la soluzione migliore è mettere in liquidazione la società", anticipa l'amministratore delegato Fabio Caso. E dire che doveva essere il quinto quotidiano sportivo italiano, modello lo spagnolo 'Marca', meno cronaca delle partite e più approfondimenti, un direttore volto noto della tv, una redazione giovane e aggressiva. Invece è finita in beffa, tra soldi che non c'erano e non ci sono mai stati, guerra tra i due azionisti al primo conticino da saldare, ribaltoni proprietari, presidenti di garanzia che non garantivano alcunché, telefoni staccati per morosità, sciopero per mancato pagamento degli stipendi, insediamento di un nuovo direttore il giorno stesso in cui tutta la redazione veniva licenziata, e una seconda sede a Roma approntata per un giornale che ormai non c'è più.
L'idea di partenza la macinava da tempo Alberto Donati, gruppo Prima editoriale, partecipazioni in 'Corriere dell'Umbria' e 'Ariete salute' di informazione ai medici, da un decennio responsabile dell'area sindacale della Fieg, la Federazione degli editori, insomma delle trattative per il contratto giornalisti fermo da due anni. Donati, però, soldi da investire non ne ha: gli serve un socio. Lo trova in Fabio Caso, holding Hopit insieme al padre Giangaetano che raccontano ex pilota di Gheddafi ("Macché, solo perché trent'anni fa per un po' passò da Alitalia alle linee libiche", smentisce il figlio) e legato ai servizi nostrani ("Che sciocchezza, abbiamo sede in via XX settembre vicino al ministero della Difesa, è tutto!"). Hopit ha business ferroviari in Nicaragua e cartari in Finlandia e Russia, alcune controllate e partecipate fallite negli anni scorsi.
Su indicazione del giornalista Mario Sconcerti trovano il direttore in Ivan Zazzaroni, che già aveva diretto 'Guerin Sportivo' e 'Autosprint', presenza fissa nei principali programmi Rai. "A dicembre 2006 mi offrono una cifra importante e completa libertà giornalistica", racconta Zazzaroni: "Lascio dunque quasi tutti i miei contratti; faccio 266 colloqui, scelgo 35 giornalisti, alcuni molto bravi, un paio li porto via ad altre testate". Il 10 marzo, però, debutto di 'Dieci' in edicola a 50 centesimi dopo un lancio tv con il codino di Roberto Baggio, in redazione non hanno neppure le agenzie: arriveranno solo l'indomani. Nei primi giorni tocca le 95 mila copie, metà grazie al 'panino' con 'il Giornale' in Lombardia e Emilia.
Ma, meno di due settimane dopo, Caso e Donati si scontrano. Arrivano i primi conti da pagare e i quattrini non ci sono: resteranno inevasi fornitori, il server che appronta le pagine tv, persino l'albergo dove alloggiano due assunti. Formalmente il capitale è di due milioni, ma sono obbligazioni: cash ci sono solo 200 mila euro, meno dello stipendio annuo del direttore. Volano accuse pesanti: "Vado in redazione e scopro che ci fanno anche le altre riviste di Donati, e nessuno mi documenta come sono stati spesi i 200 mila euro da noi versati", attacca Fabio Caso. Alberto Donati risponde invece che "siamo d'accordo di non farci pubblicamente la guerra: per i soci è una vicenda superata". Non per quelli che a 'Dieci' lavoravano.
Dopo la rottura fra i due azionisti e, in maggio, il passaggio della Editoriale Dieci a Caso amministratore delegato e Mauro Conta ex cfo di Aegis Media presidente di garanzia, i 35 in varie forme assunti si ritrovano alla canna del gas. Senza stipendi da marzo, alcuni parzialmente saldati in seguito. Presi in giro con l'esibizione di cedolini di versamenti bancari ordinati ma mai effettuati perché il conto era a secco. Senza telefoni, a lavorare coi propri cellulari. Senza direttore dall'11 giugno per le dimissioni di Zazzaroni.
In sciopero per sei giorni dal 20 e per questo licenziati il 25, giorno dell'insediamento del nuovo direttore Enrico Guadalupi, che non firmerà mai un numero. "Non riuscirò mai a capire quale logica, calcolo, vizio o inettitudine spinga a inventare un giornale per farlo colare a picco", annota Zazzaroni, ora editorialista di 'Libero'. Altri rimandano a due storie analoghe, quasi fotocopia. La prima è quella del 'Globo', free-press romana inventata dai Caso nel 2001 con la Pm Edit, finanziamento iniziale della Ue: chiusa in pochi mesi dopo l'intervento della polizia in redazione contro i distributori di strada, che protestavano perché non venivano pagati da mesi, e il conseguente sciopero dei giornalisti, subito licenziati. La seconda è la vicenda di un call center a Macchiareddu in Sardegna, società Laer controllata da Hopit, amministratore delegato Roberto Lupi, che è tuttora stretto collaboratore di Caso: per mesi i dipendenti non vengono pagati. E, alla fine, anche qui trovano i cancelli sbarrati. Dagospia 31 Agosto 2007

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