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lunedì 5 dicembre 2011

Il problema è la mira...

Fino ai 30 anni il mese di settembre accompagnava la mia depressione: erano le giornate inesorabilmente destinate ad accorciarsi a togliermi il sorriso dalle labbra, non le reminiscenze scolastiche che in quel periodo dell’anno si traducevano nel ritorno in cella. L’autunno era sempre fuori dal podio, eterna quarta nel medagliere delle stagioni preferite: i concetti di buio, di penombra, di oscurità non mi convincevano affatto perché mi trasmettevano l’idea di qualcosa che era finito. Anzi, che stava finendo, che è anche peggio.

Analogamente, quando scavallavo il 20 dicembre la consapevolezza che da lì in avanti saremmo andati in discesa quanto a lunghezza delle giornate mi faceva stare bene. Pure se il sole che tramontava alle 16.23 del 29 dicembre non è che scatenasse gioia di vivere. Sta di fatto che, in sintonia con i 9/10 del sentire planetario, il mio umore viaggiava direttamente proporzionale alla presenza del sole nella mia vita.

Da almeno 6-7 anni, però, in questa mia stessa vita sta succedendo qualcosa di veramente strano: la tanto agognata primavera l’accolgo con uno starnuto gigantesco, quello che certifica la mia allergia a ogni forma di vita del Pianeta Terra nel periodo che va da marzo a maggio. Tutto questa luce mi infastidisce, devo dire, così come fuggo dalle spiagge affollate, dai concerti oceanici, dagli aperitivi compulsivi, dalle occasioni mondane, dalla vita tanto vissuta, insomma.

Detto da un uomo di comunicazione, andrebbe confessato con meno orgoglio ma tant’è. Da prima che diventassi un crepuscolare 40enne ho preso a rivalutare il chiaroscuro, gli ambienti nei quali vedi e non vedi, le spiagge deserte a novembre con la pioggia battente, i toni di grigio che poi hanno preso il comando anche nella mia testa, le serate in cui il vento è fresco ma non freddo e neanche afoso: come se prima ascoltassi solo gli 883 e ora avessi preso ad ascoltare esclusivamente Cammariere (che poi messa così sarebbe certamente una qualità, la mia riconversione).

Sta di fatto che ora ottobre è il mese nel quale mi sento più a mio agio: tutta quella luce, quello sfavillio di colori, tutto quel movimento di cuori, di corpi, di lamiere si è placato e l’aria si lascia respirare, la gente è più tranquilla. Ci si diverte di meno, in giro, e questo aspetto mi genera meno ansia.

In una parola, riconsiderando quanto scritto finora, mi verrebbe da dire che si tratta di sintomi che sanciscono il mio precoce ingresso nella terza età. E’ questa l’ipotesi più probabile ma non voglio smettere di pensare che si tratti di fasi che vanno e che vengono, di momenti che la mia testa sempre in movimento elabora ora in modo diverso rispetto al vissuto. Non ho paura di vivere, insomma, ma forse è vero che i pori non sono più tutti spalancati. Oppure mi è solo calata la mira, come dice l’immenso Libero...

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