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lunedì 5 dicembre 2011

Priolo, Marghera e il Natale

Arrivi alla tangenziale di Mestre, te ne stai quelle quattro ore immobile a riflettere sull senso della tua vita e sul nuovo modulo di Spalletti pochi minuti dopo essere uscito dall'inferno di lamiere, sulla destra ti si staglia il polo chimico di Marghera. Spaventoso. Nel vero senso della parola perché oltre a fare schifo (qualcuno mi ha detto che quella roba ha il suo fascino ma io, sinceramente, faccio fatica) a me fa paura, soprattutto di notte.

L'obbrobrio resiste allo sguardo una decina di secondi, passando in macchina a una normale velocità di crociera, dopodichè si è già sul ponte che collega Venezia alla terraferma. Giusto il tempo di attraversarlo, roba da 3-4 minuti, e poi di parcheggiare (roba da 40-50 euro) e da Piazzale Roma si accede in un amen al Paradiso terrestre. Soprattutto se come nel mio caso si preferisce raggiungere San Marco a piedi e non col traghetto. In non più di dieci minuti dall'incubo delle ciminiere alla poesia delle calli, dei ponticelli, delle gondole. Poesia.

Arrivi all'aeroporto di Catania, il terzo in Italia per traffico dopo Malpensa e Fiumicino (mettece na pezza) e dopo aver salutato con lo sguardo il minaccioso Etna (abbaia ma non morde, dicono) ti dirigi verso Siracusa con la macchina saggiamente noleggiata per evitare il trasporto pubblico siciliano. Mezzora di strada trafficata con le corsie che passano da una a quattro, e viceversa, in grande scioltezza, e sulla sinistra ti si staglia un panorama fantastico, quello del mare di Sicilia. Peccato che appena prima della spiaggia a farla da padrone siano le lunghe ciminiere biancorosse del polo di Priolo.

Non come a Marghera, qui il senso spaventato non è la vista ma l'olfatto: la puzza di plastica bruciata si fa insopportabile col passare dei chilometri, mi chiedo come diavolo faccia la gente a vivere lì (me lo chiedo anche quando passo vicino al casello autostradale di Faenza, in realtà). Mentre mi interrogo sull'adattabilità al fetore, le ciminiere passano a riempire gli specchietti retrovisori e il cartello "Siracusa" mi riporta alla realtà.
Dopo un paio di chilometri i palazzoni lasciano spazio alle palazzine a due piani, la strada scende morbidamente al livello del mare fino al ponte che introduce a Ortigia. Un altro Paradiso, un lembo di terra battuto dal mare in ogni direzione, un posto fatato nel quale le macchine faticano ad entrare. Passeggiando una notte di autunno per Ortigia, con la pioggia battente e il mare particolarmente incazzato, la mia vita si è fermata e ho pensato di essere felice. Non succedeva da anni.

A questo punto la domanda sorge, abbastanza spontanea: è casuale il fatto che per raggiungere il Paradiso sia tassativo attraversare l'Inferno? La tempesta prima della quiete? Serve per potenziare l'effetto scenografico? E' un concetto che si può astrarre e applicare ad altre situazioni di vita? Tipo uscire a cena con Scarlett Johansson ma prima essere costretti a prendere l'aperitivo con Rosy Bindi?

Detto questo, è Natale. E il pensiero non può non correre all'edizione del 1979: avevo 12 anni, anelavo il Subbuteo World Edition e la pista Polistil, sentivo che qualcosa di magico stava per accadere. Scartai il regalo con avidità, dentro trovai un pigiama marrone. Una catastrofe dalla quale non mi sono mai completamente ripreso e che a mia madre non ho ancora perdonato. Un pigiama a Natale no, cazzo!

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