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lunedì 5 dicembre 2011

Il mio basket

Mio padre, da buon romano purosangue, è un grande appassionato di calcio ma soprattutto è un romanista fondamentalista. Nessuno nella mia famiglia (zii, cugini, ecc.) e nessun mio amico aveva mai visto una partita di pallacanestro dal vivo, prima di me. Sono cresciuto giocando a calcio con gli amici, ovunque, e praticando il tennis a livello agonistico, tifosissimo di Jimmy Connors senza mai dimenticare la Roma.
Poi, a 14 anni, l’illuminazione sulla via della pallacanestro: correva l’anno 1982 e mentre Falcao stava per essere incoronato ottavo re di Roma, un folletto nero di nome Larry Wright infiammava il Palazzetto di viale Tiziano e l’allora Bancoroma si ritrovava in testa alla classifica: una domenica, uscito dall'Olimpico attraversai il Tevere e andai a vedere Bancoroma-Birra Peroni Livorno, da solo. Fulminato, è la parola giusta, per descrivere cosa successe quel giorno perché altrimenti non si spiega come un 14enne da un mese all’altro cambi interessi, abitudini, passioni e in parte anche amicizie. Il Banco mi aiutò perché al termine di quella stagione vinse il suo unico scudetto e l’anno dopo la Coppa dei Campioni a Ginevra. Ricordo nitidamente mio padre vedermi uscire di casa una sera per andare al Palaeur a vedere una partita di Coppa: in tv quella sera c’era Roma-Goteborg, in diretta, lo sguardo di mio padre tradiva una delusione senza fine: “Dove ho sbagliato nell’educazione di questo figlio?” avrebbe voluto chiedere a mia madre mentre io li salutavo gioioso e con una sciarpa blu-arancio al collo.
L’innamoramento con la pallacanestro è stato violento e irreversibile: ho iniziato a giocare nei playground da (imbarazzante) autodidatta sempre tirando e mai passando, proprio come Larry, e sono stato abbonato della Virtus dal 1982 al 1994, anno in cui sono mi sono auto-proclamato direttore irresponsabile dell’house organ di Roma e ho iniziato a entrare al Palaeur da privilegiato. Dal giorno in cui la pallacanestro è entrata nella mia vita non ne è più uscita, neanche prima che diventasse il mio lavoro: dall’NBA al minibasket, da Michael Jordan a Giorgia Sottana, il filo che unisce chi ama la pallacanestro è sottile ma indistruttibile.

Sottolineo questo aspetto con enfasi forse eccessiva perché le passioni che accompagnano le nostre esistenze sono in qualche modo indotte dalle persone e dall’ambiente che ci circonda: io e la pallacanestro ci siamo trovati e poi ci siamo voluti, come se fossi salito in aereo e vicino a me, casualmente, si fosse seduta la compagna del resto dei miei giorni. Continuo a tifare Roma (e non poco), continuo a giocare a tennis ma sono diventate belle amicizie, l’amore è un altro. La mia storia personale mi induce a pensare che il fruscio di una retina perforata da un pallone crei dipendenza ma ovviamente non è sempre così: detto questo, da quando seguo la pallacanestro gli altri sport mi sembrano difettosi: la mancanza del contatto fisico mi squalifica la pallavolo, i tempi morti diluiscono le emozioni del tennis, le simulazioni e le speculazioni sul risultato mi hanno allontanato dal calcio.
Della Formula 1 non parlo perché alla quarta curva svengo sul divano. Nel basket succede sempre qualcosa, ogni 10 secondi, è atletica giocata, non puoi vincere se passi in vantaggio su autorete e ti metti lì a difendere il risultato: vince il più forte ma non necessariamente chi ha più talento. Quando un accozzaglia di stelle NBA prepara male Mondiali e Olimpiadi, mi solleva vederla perdere contro Nazionali infinitamente più deboli ma che si sono preparate con scrupolo.
Il basket è scientifico in questo, il talento ti può aiutare a ricucire parte del gap ma se non metti insieme una squadra, nel senso più lato del termine, alla lunga (e neanche tanto) soccombi. L’avvio del campionato di Serie A conferma la mia impressione: meglio Cantù di Treviso, meglio Teramo di Milano, meglio Capo d’Orlando della Fortitudo, meglio Scafati di Napoli. Meglio chi lavora insieme da settimane di chi ha inserito i propri fuoriclasse a pochi giorni dal campionato. Palpitante, onesto, atletico, scientifico, questo è il basket che mi ha conquistato. I love this game, o come si dice dalle mie parti, “Me piace sto gggioco”…

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