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lunedì 5 dicembre 2011

Emanuel, so' sempre 5.000 lire...

Il 16 agosto 2000 feci il mio primo ingresso nella redazione di Superbasket: il passato remoto del verbo fare non è casuale perché l’emozione del debutto mi giocò un brutto scherzo e la mia prima domanda a Claudio Limardi, caporedattore di SB, fu: “Scusa, mi sai dire dov’è il bagno?”. Le premesse perché diventassi un giornalista di merda c’erano tutte, mettiamola così.

Dopo pochi giorni arrivò la prima intervista, commissionata dal mio direttore a un giocatore argentino appena acquistato dalla Virtus Bologna. Tale Emanuel Ginobili. Sì, quel Ginobili, quello che poi in NBA ha vinto anelli con San Antonio ed è diventata una stella di prima grandezza. Arrivava da Reggio Calabria, lui. E da Roma, io. Ci accordammo telefonicamente e ci incontrammo al centro di Bologna: se solo ci fossimo tenuti la mano saremmo sembrati Totò e Peppino in Piazza del Duomo. “Sai dov’è un supermercato qua vicino?”, mi chiese lui. “E che ne so io, so’ arrivato qui l’altro ieri. Lo volevo chiedere io a te, figurati”. Capii immediatamente che non sarebbe stata un’intervista normale, la mia prima intervista, perché la prima mezzora scorse via a confrontarci sui disagi incontrati al profondo nord dagli emigranti (lui da Bahia Blanca, io da Stroncone provincia di Terni). Ho omesso un particolare fondamentale: il giorno precedente mi era stato rubato il portafogli con un sacco di soldi, documenti, vari assegni e la carta di credito: avevo lasciato il marsupio incustodito per 30 secondi sul cruscotto della macchina, parcheggiata di fronte alla stazione, ed erano stati sufficienti.
Il maresciallo, romano, al momento della denuncia mi chiese: “Ma te che sei romano te vieni a fa’ frega’ a Bologna?”. E io: “Sì ma quando uno è stupido, è stupido ovunque”. Sta di fatto che ero esule e nullatenente a parte le 50.000 lire che l’insostituibile Elena mi aveva temporaneamente prestato per il sostentamento.

L’intervista si svolse in un bar e non potete immaginare il mio sollievo quando Ginobili si alzò e fece per pagare le 9.000 lire del conto. Eravamo sul punto di salutarci, quando mi chiese: “Mi accompagni in quel negozio di elettronica a comprare una spina per il computer?”.
E che fai, non l’accompagni, t’ha pure pagato un succo d’ananas… Il tipo del negozio aveva appena riaperto dopo le ferie estive e non aveva in cassa le 45.000 lire di resto a fronte delle 50.000 preparate da Ginobili. Da quel momento ricordo tutto la sequenza alla moviola: Emanuel che mi chiede se gli posso anticipare 5.000 lire, io che gli allungo il 10% del mio budget e il negoziante che sorride per la veloce risoluzione del problema.

Ho rivisto Ginobili pochi mesi dopo, aveva appena vinto lo scudetto e alzato la coppa di miglior giocatore del campionato. Gli passai vicino mentre 30 giornalisti lo torturavano di domande: “Ciccio, sì ok bravissimo, ma me devi sempre dà 5.000 lire”. Scoppiò a ridere. Pochi mesi più tardi quelle 5.000 lire si trasformarono in 2.5822845 euro. Ebbi modo di ricordarglielo l’estate successiva, quando tornò in Italia dopo la prima trionfale stagione a San Antonio.
Ci incontrammo in un albergo di Napoli: lui era lì per un evento Nike, io ero lì per lui: si aprirono le porte dell’ascensore e mi vide nella hall. “Non mi dire, sei tu che mi devi intervistare?”. E io: “Sti cazzi dell’intervista, tira fuori 3 dollari”. “Non se ne parla. Facciamo così, vieni a trovarmi a San Antonio per una settimana e stiamo pari, ok?”. Finsi di trovare interessante la proposta e realizzai l’intervista.

Ovunque ti trovi ora, immenso Emanuel, io in Texas a trovarti non ci sono venuto. Quindi sempre 5.000 lire me devi dà...

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