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lunedì 5 dicembre 2011

Famo du' palle?

Mercoledì, ore 10.50, sono pronto a profanare per l’ennesima volta un campo da tennis in terra (ab)battuta: sul campo numero 4, dove giocheremo io e Corrado, due ragazzi sui 25 anni palleggiano allegramente tirandosi scaldabagni in top spin, tutti in prossimità delle righe. Sul campo numero 5, invece, due sessantenni modello Fantozzi e Filini (“batti lei”), in gravi difficoltà nel completare tre scambi di fila. Il mio distributore di sarcasmo si sta già fregando le mani e invece cala il silenzio per i seguenti due motivi. 1) io come i due del campo 4 non c’ho mai giocato, neanche quando ero noto come Jimbo, mi affermavo nei prestigiosi tornei di Massa Martana e Stroncone e mi atteggiavo in giro per San Paolo Ostiense illudendomi di essere stato dotato da Madre Natura del talento di McEnroe. 2) non diventerò mai come i due pensionati del campo 5 ma sono sicuramente più vicino a loro, come livello, che a quelli del 4, consapevolezza che in me ha scatenato una tristezza infinita.

Ho aspettato che i due fenomeni sparissero all’orizzonte prima di iniziare a palleggiare con Corrado e poi, devo dire, mi sono anche divertito: da sempre il tennis rivela il mio modo di essere, per questo mi incazzo come un toro quando gioco, mica perché perdo. Una palla lunga e una corta, una in top e una in back, una stop-volley che non si vede mica dappertutto e poi un comodo dritto sotterrato in rete, l’indolenza di chi arriva sulla palla solo all’ultimo momento utile e poi magari riesce a compensare col tocco. Che, devo dire, non mi ha ancora abbandonato. Almeno lui. Le condizioni del tennis italiano sono pessime da 30 anni, forse per questo ancora oggi vengo considerato uno che ci sa giocare: certamente è lo sport nl quale mi difendo meglio, il che non necessariamente vuole dire che sia bravo. Ho vissuto di tennis dai 10 ai 20 anni, prima che mi rapisse la pallacanestro: ero abbonato a “Il Tennista”, fanatico tifoso di Connors, d’estate giocavo tutti i giorni e il mio colpo più affidabile era il rovescio a due mani, “rubato” allo stesso Jimbo dopo ore di partite viste in tv con la telecronaca di Guido Oddo. Ero l’unico ragazzino che preferiva giocare il rovescio, piuttosto che il dritto, caratteristica rara e preziosa. A 13 anni mi iscrissi alla scuola tennis di San Paolo e la mia insana passione di feroce autodidatta venne rimossa in poche ore: “Stacca subito quella mano” mi dissero, così il rovescio tornò a una mano, divenne innaturale e io persi un buon 30% del mio gioco. A distanza di 27 anni non sono più riuscito a ritrovare il “timing” e l’impugnatura per rigiocare il “mio” rovescio, ci ho rinunciato da tempo. Intendiamoci, sarei stato una pippa anche se non mi avessero costretto a cambiare ma ricordo che vissi la cosa come una violenza su un gesto invece istintivo e spontaneo. E comunque, i due giovani fenomeni del campo 4 giocavano entrambi un fluidissimo rovescio a due mani, beati loro. Un altro segno dei tempi che sono cambiati. Quelli del campo 5 non ve lo posso dire, perché hanno giocato solo dritti… Al tennis sono legati 4 situazioni divertenti della mia vita. Eccole:

1. Centrale del Foro Italico semideserto, 40 gradi, i pallettari Corretja-Martinez sono sul 4-3 dopo un’estenuante, noiosissima ora di gioco. Il Giudice Arbitro chiama il cambio campo: “Corretja leads 4 games to 3, New balls, palle nuove”. Un genio urla dal nulla: “Pure pe’ noiiiiii”….

2. Il mai troppo rimpianto Beppe Viola una volta disse: “Accetterei di avere la febbre a 37.2 per tutta la vita in cambio della seconda palla di McEnroe”. La seconda, neanche la prima. E guardate che la febbriciattola a 37.2 è proprio fastidiosa.

3. Il mio ex collega Enrico Schiavina ha lavorato per anni a Match Ball e seguito costantemente gli azzurri in Coppa Davis. Nella grande Italia che nel 1976 vinse l’insalatiera giocavano Panatta, Bertolucci, Barazzutti e Zugarelli. I primi due talentuosi, pigri, indolenti, viveur, poco professionali: gli altri due precisi, metodici, rigorosi, affidabili. Forlì, anno imprecisato, campo centrale, ore 12.00, nel pomeriggio i primi singolari, temperatura intorno ai 35 gradi: Barazzutti e Zugarelli si stanno allenando da 3 ore, provando e riprovando palline, terra, racchette, tattiche. Sono già esausti. Si affacciano sul campo Panatta e Bertolucci, faccia assonnata, occhiali da sole, ciabatte da mare, giornale sotto braccio. Panatta si gira lentamente verso il suo compagno di doppio e la butta lì: “A Pa’, famo du’ palle?”. Numero uno.

4. Internazionali d’Italia, sono in prima fila su un campo secondario e seguo Pistolesi-Stich, il clima è incandescente perché il pubblico romano d’estata frequenta Maccarese non Wimbledon. 4 pari nel terzo set, 30 pari, un rovescio del tedesco prende in pieno la linea ma viene incredibilmente chiamato fuori. Stich si incazza, giustamente, chiama il giudice di linea e poi quello di sedia, arriva verso di noi e chiede al signore che è accanto a me, perfettamente allineato al punto di caduta della pallina, di confermare che il punto è il suo. Il tipo accanto a me scuote la testa e allarga le braccia, confermando che la palla è finita fuori, poi passata la tempesta si gira verso di me e mi sussurra: “Era bona, c’aveva raggggggione lui, ma d’altra parte a noi i tedeschi ce n’hanno fatte tante…”.

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