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lunedì 5 dicembre 2011

Riga: si lavora e si fatica...

In Lettonia c’ero già stato tre qualche anno fa, al seguito della Bipop, in un posto chiamato Ventspils: quando da Reggio Emilia arrivò l’invito in redazione i miei colleghi di Superbasket declinarono gentilmente, dopo essere stati ad Alicante, Amsterdam, Lione, ecc.. Io invece, giramondo quale sono, accettai con entusiasmo. Entusiasmo che dopo 3 ore di volo per Riga e altre 3 di pullman verso la nostra meta si attenuò progressivamente: seppi infatti, strada facendo, che Ventspils altro non era che il porto più utilizzato dall’ex Unione Sovietica per il trasporto di materiale chimico, uno sbocco sul mare strategico e che non a caso aveva provocato più di qualche tensione quando la Lettonia si dichiarò indipendente.

Ai chilometri e chilometri di containers contenenti materiale pericolosissimo, aggiungete che essendo gennaio inoltrato la temperatura stazionava intorno al -35 e il mare per i primi 100 metri era completamente ghiacciato. Aggiungete pure, se vi avanza posto, che in albergo ci fu prontamente consegnato un depliant multilingue in cui veniva indicato il punto di raccolta per la fuga tramite pullman nel caso in cui avessimo sentito il suono della sirena: anzi, di tre sirene perché i pericoli erano di differente natura e così i piazzali nei quali ritrovarsi.
Reggio Emilia perse malissimo, io provai a uscire una volta dall’albergo, sentii urlare da una finestra (“Italianoooooooo, mio amore, viene da me”) e tornai subito dentro. Spaventato. Alle 2 di notte ripartimmo per Riga, alle 6 volammo per Bologna, arrivai in redazione bello fresco verso le 11 giusto in tempo per ringraziare i miei colleghi dell’opportunità concessami.

In Lettonia sono tornato il 3 giugno, insieme alla Nazionale Femminile impegnata all’Europeo: per tre giorni a Priekuli, cittadina fantasma a 30 chilometri dalla più vicina nonché primitiva forma di vita: il secondo posto conquistato nel girone ci ha schiuso le porte di Riga ma non ci ha liberato del cibo spudoratamente speziato, patrimonio mondiale dell’Unesco per quel che riguarda la Lettonia.
Alloggiati nel centro della capitale in un albergo moderno e confortevole, ho avuto modo di appurare che il vero patrimonio della repubblica baltica in verità sarebbe un altro ma l’Unesco non lo può riconoscere perché rigorosamente a pagamento.

Basti pensare che nel mio frigobar alloggiavano, accanto a una bottiglia di acqua e a una di Coca Cola, due (neanche uno) profilattici pronti per l’uso: basti pensare che la hall dell’hotel era quotidianamente frequentata di donnine dall’aspetto non propriamente repellente pronte a intercettare un tuo sguardo per ribattere con un sorriso e subito dopo una cifra: c’è pure, va detto, chi è sceso nella hall alle 3 di notte per sperare in un (improbabile) sconto sul prezzo.
Come quelli chiesti al bancarellaro che sta per smontare. Sono uscito dal Latvija Hotel più e più volte, spesso da solo e sempre con sta benedetta scritta “Italia” stampata sul petto. Peggio del sangue per uno squalo, credetemi.

Prima sera, io e il coach mettiamo il naso fuori dall’albergo: un taxi sgomma, si avvicina, tira giù il finestrino e ci chiede: “Erotic massage?”. E noi: “Magari quattro passi ora, dopo ci pensiamo”. E’ stata anche l’unica volta in cui mi è stata rivolta la parola in una lingua che non fosse l’italiano, dagli (dalle) indigeni. Il giorno successivo più esplicito è stato lo “Scopiamo?” rivoltomi dalla sosia di Nina Moric prima che si deturpasse le labbra. Al mio sorriso di diniego l’aggiunta che lascia pensare: “Qui niente seghe, scopare e basta”. Evidentemente c’era stata una fuga di notizie, riguardo alla mia scarna vita sessuale nell’ultimo periodo (tipo gli ultimi 30 anni, tanto per intenderci). La sera prima di partire, il capolavoro, con le donnine anche un po’ incazzate per la scarsa adesione della comitiva italiana alle loro velate richieste: “Che facciamo?”, ha chiesto a me e un altro allenatore una bionda accompagnata da una mora mozzafiato. “Zona 1-3-1”, volevamo rispondere noi ma al nostro silenzio la mora di cui sopra ha aggiunto. “Trombare, dai, poca spesa e molta resa”. Un motto che meriterebbe un mese di stato su Facebook. Una notazione che dal punto di vista economico ci ha confortato pur non convincendoci riguardo all’acquisto della mercanzia. Della Lettonia, comunque, mi resta il ricordo di un popolo estremamente cordiale e disponibile (non nel senso che intendete voi…): l’immagine di una città molto bella e che del regime sovietico non conserva più nulla, neanche una triste scritta in cirillico. Anzi, una cosa la conserva, una memoria storica recente: i buchi sul muro della radio lettone, crivellata di colpi dai carrarmati sovietici nel 1991, dopo la proclamazione dell’indipendenza. A Mosca pare che non la presero benissimo. “Scopare”?

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